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Le opere pubblicate sono state scelte molto accuratamente per qualità, rarità e stato di conservazione: ho scelto la strada, spesso ardua, della selezione rigorosa, nella speranza che tanto lavoro e studio vengano apprezzati. Se siete in cerca di un'armatura da samurai, di un netsuke o di qualche altra opera d’arte giapponese, spero possiate trovare in questo sito qualcosa che possa essere di vostro gradimento. 
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A presto, 
Giuseppe Piva



Tutto sui paraventi giapponesi antichi

I paraventi giapponesi antichi sono sin da subito divenuti un valido supporto per la calligrafia come per gli haiga, le poesie illustrate, oltre alla stessa pittura che ha ritrovato nel formato verticale e nella possibilità di modulazione delle ante pieghevoli nuovi scorci sui quali definire le proprie composizioni. Nei paraventi giapponesi i diversi pannelli non sono interpretati singolarmente ma costituiscono una sola immagine nella quale l’artista esplora le dinamiche di composizione in base ai principi buddhisti di “pieni” e “vuoti” della composizione lasciando, in taluni casi, che alcuni pannelli risultino completamente spogli o nei quali compaiono soltanto pochi elementi. Questi rapporti spaziali vengono poi continuamente riformulati nell’impiego stesso del paravento e nella diversa combinazione degli angoli tra i suoi pannelli.

Nelle case cinesi e giapponesi era abituale che i quadri venissero spostati a seconda della stagione o in base all’ospite. Le superfici con le quali gli spazi delle abitazioni venivano di volta in volta rimodulati tramite i paraventi costituirono ben presto un valido supporto su quale l’arte giapponese ha costruito e costruisce tutt’ora, alcune delle più belle opere giapponesi in assoluto. Si tratta della commistione e del felice matrimonio tra la pittura giapponese della tecnica del dipinto a nastro (emaki) con quella di un oggetto semplice ma nello stesso tempo capace di ridisegnare con grande senso estetico il luogo nel quale è posto.

Tra i paraventi giapponesi antichi l’uso della tecnica del bianco e nero rappresenta un riferimento al Buddhismo come purezza e spiritualità dell’inchiostro nero come riduzione formale del principio coloristico e trovò in maestri come Ogata Korin (1658-1716) uno dei maggiori Maestri in tale disciplina, continuata poi da altri grandi interpreti tra i quali si annovera Kano Eigaku.

L’unico colore che può tradizionalmente pareggiare in purezza e spiritualità con il nero per i paraventi giapponesi antichi resta la superficie dorata la cui presenza permette sofisticati giochi di luci sempre rinnovati e mutevoli nella disposizione delle ante, riproducendo tutto il senso della contemplazione (wabi-sabi) e della transitorietà insito nella cultura Orientale.

 




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